Brick su Netflix: un thriller psicologico imperfetto che però conquista

Non sempre un film deve essere perfetto per lasciare il segno. A volte basta un’idea potente, anche se mal eseguita, per restare nella testa (e nello stomaco) dello spettatore. È esattamente ciò che accade con Brick, il nuovo thriller psicologico tedesco targato Netflix, attualmente al primo posto nella classifica dei film più visti sulla piattaforma.
Un’opera che riesce a spaccare il pubblico: da un lato ci sono i suoi evidenti difetti tecnici e narrativi, dall’altro un mistero così magnetico da rendere impossibile interrompere la visione. È una di quelle pellicole che ti fanno alzare gli occhi al cielo, ma poi ti ritrovi, inevitabilmente, a voler capire come va a finire.
Una coppia in crisi e un muro misterioso: la trama
La storia parte da una situazione tanto assurda quanto semplice. Tim e Olivia, coppia in piena crisi relazionale, si svegliano una mattina e scoprono che un muro di mattoni ha misteriosamente sigillato l’intero appartamento, impedendo loro di uscire.
Ma non è un caso isolato: tutto il condominio è intrappolato, imprigionato da una barriera impenetrabile, comparsa dal nulla. Da qui si innesca un claustrofobico scenario in stile escape room: sopravvivere, capire cosa sta succedendo, e soprattutto trovare una via di fuga.
Una metafora sbattuta in faccia (con poca grazia)
Brick non fa nulla per nascondere le sue intenzioni simboliche. Il muro che separa fisicamente i protagonisti è la più ovvia delle metafore per la distanza emotiva che li divide. Il problema? Il film non si fida dell’intelligenza del pubblico e lo ripete in modo così insistente da risultare irritante.
Il sottotesto viene trattato con la stessa delicatezza di un martello pneumatico, rendendo tutto piuttosto didascalico e prevedibile. Il film non lascia spazio alla riflessione: preferisce spiegare, ribadire, insistere.
Dialoghi surreali e momenti da soap opera
A peggiorare la situazione ci pensano dialoghi talvolta imbarazzanti. Tra i momenti più discutibili, quello in cui un personaggio ipotizza che tutto sia opera degli alieni perché ha visto video su TikTok. Un passaggio che lascia sbigottiti e che evidenzia la scrittura pigra e poco credibile di alcune scene.
Anche le interpretazioni, spesso sopra le righe, non aiutano. Alcuni attori sembrano usciti da una telenovela piuttosto che da un thriller psicologico, e il tono generale si avvicina pericolosamente al grottesco involontario.
Ma allora perché funziona?
Eppure, nonostante tutto, Brick funziona. Eccome.
Perché? Perché il mistero centrale è irresistibile. La dinamica “chiusi dentro senza sapere il perché” scatena nello spettatore un impulso primordiale: bisogna sapere come finisce.
Il ritmo è sostenuto, la tensione cresce, gli interrogativi si moltiplicano. La curiosità diventa una forza trascinante, capace di far passare in secondo piano anche le scelte narrative più discutibili.
Un cast corale e qualche spunto emotivo interessante
A rendere il tutto meno monotono è la presenza di altri personaggi all’interno del condominio, ognuno con la propria reazione e la propria storia. Questo elemento evita che tutto ruoti solo attorno alla dinamica di coppia, introducendo diverse sfumature emotive.
Una delle sottotrame più riuscite riguarda un nonno protettivo e la sua giovane nipote, che portano un po’ di tenerezza in mezzo alla tensione e regalano al film un’anima più sincera. È attraverso questi personaggi secondari che Brick riesce, inaspettatamente, a toccare corde autentiche.
La tensione sale: omicidi, antagonisti e colpi di scena
Con il procedere della storia, il film non si accontenta della sola premessa. Aumenta la posta in gioco: entrano in scena antagonisti umani, sospetti, alleanze fragili e persino un omicidio, che riaccende la tensione quando rischiava di calare.
Non mancano i colpi di scena, alcuni ben riusciti, altri decisamente forzati. Ma nell’insieme, riescono a mantenere alta l’attenzione e a giustificare il successo virale del film.
Brick: il guilty pleasure del catalogo Netflix
Alla fine, Brick è un guilty pleasure cinematografico. Il suo fascino non sta nella qualità, ma nella capacità di creare dipendenza. È come una junk food story: piena di difetti, forse anche poco digeribile, ma con un gusto irresistibile.
È il classico film che funziona alla perfezione per una serata tra amici, magari mentre si commentano le scene più assurde in tempo reale. Ma nonostante la sua goffaggine, l’idea di base è così forte che porta a un finale sorprendentemente soddisfacente.
Un’occasione sprecata che, però, conquista
Brick resta un’occasione parzialmente sprecata. Poteva essere un piccolo gioiello del thriller psicologico, e invece si ferma a metà strada, diviso tra ambizione e superficialità. Ma, e questo è il suo piccolo miracolo, riesce comunque a vincere la sua scommessa.
Un film imperfetto che, forse proprio grazie alle sue contraddizioni, riesce a catturare e intrattenere. E in fondo, nell’era dello streaming compulsivo, non è già questo un traguardo?