Stranizza d’amuri è il film d’esordio alla regia di Giuseppe Fiorello. Fiorello ha scelto di ambientare e girare la sua opera nella splendida cornice della Sicilia sud-orientale. Il film narra la storia di due adolescenti, Gianni e Nino, che si incontrano e si innamorano nell’estate del 1982. Questo è un periodo in cui l’Italia si prepara a vivere la gioia dei Mondiali di calcio. Sullo sfondo, però, c’è una Sicilia rurale e autentica, fatta di paesi piccoli, tradizioni radicate e una società spesso chiusa e intollerante.
Le suggestive location del film
Il racconto si sviluppa in luoghi che sono veri e propri protagonisti:
- Noto, la città barocca patrimonio UNESCO, con i suoi vicoli e le piazze dal fascino senza tempo;
- Marzamemi, incantevole borgo di pescatori, perfetto per catturare atmosfere sospese tra passato e presente;
- Ferla, vicino alla necropoli di Pantalica, che offre paesaggi naturalistici di grande impatto visivo;
- Buscemi, borgo rurale che sembra rimasto fermo agli anni Ottanta;
- Priolo Gargallo e Pachino, comuni che restituiscono con autenticità l’atmosfera del periodo.
La natura gioca un ruolo fondamentale nel film. La Riserva naturale orientata di Pantalica, la Valle dell’Anapo, e il Torrente Cava Grande sono lo scenario del rifugio segreto dei protagonisti. È un luogo di libertà e intimità. Anche il distretto minerario di Catania, dove Gianni lavora in cava, sottolinea il forte legame tra la storia personale dei protagonisti e il territorio siciliano.

La storia vera dietro Stranizza d’amuri: il delitto di Giarre
Il film trae ispirazione da una vicenda reale, tragica e dolorosa. Questa vicenda avvenne a Giarre, in provincia di Catania, nell’autunno del 1980. Qui si consumò il delitto di Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e Antonio Galatola, 15 anni. Erano due giovani conosciuti in paese come “i ziti”, cioè “i fidanzati”.
In un’epoca in cui l’omosessualità era fortemente stigmatizzata, Giorgio e Antonio rappresentavano una sfida silenziosa e coraggiosa. Essi sfidavano i pregiudizi di una società conservatrice. Giorgio, apertamente gay sin da ragazzo, aveva già subito episodi di discriminazione e insulti. Veniva additato con il termine offensivo “puppu ‘ccô bullu”.
La scomparsa e il ritrovamento dei corpi
Il 17 ottobre 1980 i due giovani spariscono. Inizialmente si pensa a una fuga volontaria. Tuttavia, due settimane dopo, il 31 ottobre, un pastore ritrova i loro corpi sotto un pino marittimo nella “Vigna del Principe”. Sono mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola ciascuno alla testa.
Indagini, omertà e verità negate
Le indagini vengono ostacolate da un forte muro di silenzio e omertà da parte della comunità locale. La comunità non vuole associarsi a un crimine così scandaloso. Si ipotizza inizialmente un suicidio o un omicidio-suicidio, ma queste teorie vengono scartate in fretta. Ciò è dovuto alla posizione dei corpi e ad altri dettagli.
L’attenzione si concentra poi su Francesco Messina, nipote tredicenne di Antonio. Francesco confessa di aver ucciso i due su loro richiesta. Tuttavia, la sua versione risulta poco credibile e viene ritrattata dopo pochi giorni. Francesco sostiene di aver confessato sotto pressione per proteggere la famiglia.
Alla fine il caso viene archiviato come irrisolto. Non sono stati individuati colpevoli. L’ipotesi più probabile, mai formalmente accertata, è che i due siano stati vittime di un delitto d’odio. Sono stati uccisi a causa del loro orientamento sessuale e di un clima di intolleranza e paura.
L’impatto sulla società italiana e il movimento LGBTQ+
Il delitto di Giarre scosse profondamente l’Italia. Fu un evento simbolico che contribuì a portare alla luce la realtà delle discriminazioni subite dalle persone LGBTQ+. Da quella tragedia nacque la cosiddetta “primavera gay siciliana”. Questo fu un momento di presa di coscienza e di mobilitazione che portò alla nascita del primo circolo Arcigay a Palermo.
Quella vicenda divenne un simbolo della lotta contro l’omofobia e la violenza. Essa alimentò un movimento di difesa dei diritti civili, che è ancora oggi centrale nella società italiana.
Dal fatto di cronaca al grande schermo: la memoria che diventa arte
Stranizza d’amuri prende le mosse da questa storia reale, cambiando i nomi dei protagonisti e spostando l’azione al 1982. Tuttavia, mantiene fede allo spirito di denuncia e memoria. Il film è un omaggio a Giorgio e Antonio. È un modo per restituire voce a chi è stato silenziato e dignità a un amore che sfidò pregiudizi e violenza.
Attraverso la forza evocativa delle location, la cura dei dettagli, e la profondità emotiva della narrazione, Giuseppe Fiorello racconta una Sicilia che ancora oggi conserva molte contraddizioni. Tuttavia, questa Sicilia mostra anche la bellezza di un popolo che lotta per la libertà e la giustizia.
Stranizza d’amuri non è solo un film d’amore ambientato in una Sicilia autentica e meravigliosa. È soprattutto un atto di memoria civile e di coraggio. È la testimonianza di come la storia personale di due ragazzi possa diventare simbolo di una lotta più grande. Questa lotta riguarda il riconoscimento dei diritti e la fine delle discriminazioni.
Chi ama il cinema capace di emozionare e far riflettere troverà in questo film un racconto intenso e necessario. Questo racconto celebra l’amore nella sua forma più pura e denuncia con forza ogni forma di intolleranza.